Se sei un imprenditore, so per certo che i tuoi dipendenti non sono solo “quelli che paghi per fare un determinato lavoro”. Le c.d. “risorse umane” sono la leva fondamentale per raggiungere gli obiettivi di produzione, per decretare il successo dell’azienda e renderla competitiva nel mercato.
E allora perché dovrebbero essere esclusi dalla strategia di digital marketing dell’azienda? Perché non renderli protagonisti della vita online dell’azienda? Con i termini anglofoni che tanto ci piacciono, questa tecnica di digital marketing è chiamata Employee Advocacy e, come dimostrano numerosi case studies di aziende molto famose (come Mastercard e Starbucks), ha un’efficacia molto alta: è come se tutti i collaboratori dell’azienda diventassero “influencer” e, in un mondo in cui i consumatori nutrono una diffidenza sempre maggiore nei confronti dell’advertising online, la voce di chi vede la realtà aziendale “dal di dentro” riscuote una grande fiducia.
Purtroppo, troppe aziende continuano a pensare che la promozione sul web sia appannaggio dell’ufficio marketing e a limite del management. Eppure è essenziale che l’intera azienda sia resa partecipe della comunicazione sul web e sui social media: perché non coinvolgere tutti i collaboratori, tutte le risorse a diventare brand ambassador della tua azienda, comunicando sui social network la loro esperienza, promuovendo la realtà di cui fanno parte e diventando anche loro una voce genuina del brand?
Questo “upgrade” del collaboratore in portavoce del brand incontra spesso un ostacolo: come faccio a motivare le persone con cui lavoro a contribuire alla nostra comunicazione online?
A rispondere a questa annosa domanda, ho invitato oggi Lilia Pavone, consulente e formatrice “apprendivertente” sulla crescita personale e professionale.
Lilia, forte della sua esperienza di formazione e consulenza per PMI e multinazionali, è la persona giusta per guidarci nei meandri del team building e della motivazione dei collaboratori.
Lilia, quali sono i motivi per cui alcuni dipendenti o collaboratori hanno un “rifiuto” nell’esprimersi online, ad esempio sui social media, come membri della propria squadra di lavoro e nel condividere i valori dell’azienda? C’entra qualcosa lo zampino del manager o del datore di lavoro?
Le motivazioni sono di diversa natura, ma fondamentalmente si dividono in due categorie: quelle pratiche e quelle motivazionali. Certo quando c’è la motivazione di solito non ci sono altre difficoltà, o meglio gli ostacoli pratici vengono visti come sfide e quindi superati facilmente. Ma facciamo un passo indietro.
Le motivazioni pratiche dipendono dalla scarsa abitudine o propensione all’utilizzo del video da condividere online. Mi spiego meglio: un conto è fare un video amatoriale per mostrare agli altri una bella spiaggia dove sono andato o una città che sto visitando, altra cosa è realizzare un video professionale.
Questa obiezione o difficoltà si risolve facilmente con 2 risposte:
- I video e i reel funzionano molto bene, ma non sono l’unico mezzo di comunicazione sui social. Anche una storia o un post con una bella immagine ed un testo emozionante suscitano molte impressioni.
- Quando si parla di ambassador e non di marketing istituzionale dell’azienda, non è richiesta una capacità professionale, anzi la realizzazione amatoriale – se comunque fatta con criterio ed un livello di qualità accettabile – fornisce freschezza, spontaneità e anche maggiore credibilità, perché non viene percepita come pubblicità.
Le difficoltà di tipo motivazionale dipendono soprattutto dallo scarso coinvolgimento dei collaboratori rispetto alla missione, visione e valori aziendali e qui entra in ballo ciò che possono fare manager e imprenditori.
Se un collaboratore non è orgoglioso del gruppo o organizzazione a cui appartiene, non avrà mai voglia di esporsi in prima persona con i suoi amici per raccontare sui social meraviglie del posto di lavoro e di cui invece magari si lamenta quando è con loro davanti ad una pizza o sorseggiando un aperitivo. Ma su questo aspetto si può appunto lavorare e l’azienda ha ampie possibilità di successo.
Una volta stabilito un piano editoriale unico per l’azienda sui social media, naturalmente non basta qualche sporadica condivisione (magari forzata) per definirsi “ambassador”… sarebbe bello avere collaboratori che contribuiscono alla diffusione dei valori e della mission del brand… è pura utopia? Oppure è possibile? Quali sono i principali passi per motivare i nostri colleghi a integrarsi nella strategia aziendale di digital marketing?
Qual è il verbo italiano che si utilizza come sinonimo di “postare”? Condividere.
Se pensiamo a questa parola prima dell’avvento dei social, il significato era quello di “essere d’accordo con” (ad esempio “Condivido la tua opinione”) oppure “mettere in comune qualcosa” (ad esempio “Condivido la mia merenda con te”). L’accezione da social media è un po’ la fusione di questi due significati perché io metto in comune con altri le cose che mi piacciono e su cui sono d’accordo.
Ne consegue che se non condivido nella vita reale la missione, la visione ed i valori aziendali, non li condivido neanche su Facebook, Instagram e via dicendo.
L’utopia non è avere collaboratori che diffondano i nostri valori, l’utopia è pretendere che lo facciano se la missione e la visione sono state calate dall’alto, non sono state create in modo partecipato o peggio ancora se sono belle frasi incorniciate che non corrispondono alla realtà.
Certo nelle aziende multinazionali arriva già tutto pronto e impacchettato dalla casa madre, ma vi sorprenderebbe scoprire quanto lavoro si può fare per creare senso di appartenenza in un gruppo locale, senza pestare i piedi ai capi negli headquarter.
Quando aiuto le PMI nel cosiddetto processo di envisioning c’è più margine di lavoro perché tutto si decide in casa e le persone vedono più direttamente la ricaduta delle proprie scelte a azioni, ma anche nelle aziende di grosso calibro ho visto accadere miracoli nel clima di partecipazione che si è creato.
E se dopo un primo momento di condivisioni forsennate sui social e post entusiastici qua e là sul web la motivazione viene meno? Come facciamo a riaccenderla?
Questo non è un rischio ma una certezza. Qualunque azione esaurisce la sua spinta prima o poi. La motivazione va nutrita costantemente, non solo quando ci “serve”, ma sempre.
Con questo intendo dire che il vero obiettivo dovrebbe essere quello di avere collaboratori felici del proprio lavoro, perché questo fa bene alla loro salute in primo luogo e conseguentemente anche alla salute del business (lo dicono le ricerche: meno assenze per malattia, minore turnover, maggiore attrazione di nuovi talenti, maggiore produttività, più alto livello di creatività…).
La partecipazione alla strategia di marketing sarà quindi una conseguenza di questo benessere.
Questo tipo di motivazione è quella più duratura ed è quella che viene chiamata motivazione endogena, ovvero che nasce spontaneamente ed internamente.
Poi ovviamente si possono attuare delle strategie di motivazione esogena per innalzare l’interesse e il desiderio di condivisione sui social come contest, iniziative divertenti, stimolo verso i collaboratori a portare le proprie idee… Queste strategie, come detto, hanno una validità più breve nel tempo, ma possono essere utili alleati in concomitanza con campagne specifiche.
In sintesi i suggerimenti per le aziende possono essere: creare un buon clima di lavoro, nutrire la relazione con i collaboratori come fate con le relazioni personali, essere quanto più possibile coerenti e usare fantasia e creatività nel coinvolgimento delle persone prima ancora che nella creazione di campagne pubblicitarie.
Del resto a chi si può chiedere creatività se non proprio al settore marketing?
Ciriciao gente!